Quagliotti e Tanganelli, Commercialisti e Revisori Contabili a Firenze

Ciao, Alan.
Il 31 gennaio 2006, dopo più di 18 anni di onorato servizio, Alan Greenspan, “il Maestro”, lascia l’incarico di capo della Fed, la Riserva Federale degli Stati Uniti. Prossimo agli ottant’anni, che compirà in marzo, l’uomo del quale gli Americani si fidano più che dei loro presidenti si ritira a vita privata e si dedicherà alla scrittura. Ma se delle ambizioni, della vita e degli amori di Greenspan si sa (quasi) tutto, di “the Fed” spesso si sa poco…

A volte, le dichiarazioni più semplici sono le più efficaci. L’11 settembre 2001, a poche ore dall’attacco aereo alle Torri Gemelle, la Fed rilasciò questo comunicato: “La Federal Reserve è aperta e operativa. Gli sportelli sono attivi e disponibili a soddisfare le richieste di liquidità”. L’effetto calmante sui mercati fu immediato. Il lunedì successivo, Greenspan tagliò i tassi di interesse dello 0.5%, un altro atto che moderò l’impatto finanziario ed economico dell’assalto terroristico. Ma da dove trae tutto questo potere la Fed, un’istituzione che non risponde direttamente agli elettori? E come riesce a condizionare la vita quotidiana di milioni di persone in tutto il mondo, facendo spostare al di qua o al di là dell’oceano masse immense di denaro? La risposta a queste domande è la stessa: la Fed controlla la disponibilità dei capitali, e quindi il rubinetto del credito per l’economia.

Quando il rubinetto è ben aperto, i tassi di interesse diminuiscono e si spende con maggiore libertà per beni acquistabili con denaro preso in prestito, o in altre parole, la Fed può usare la politica monetaria per contrastare le recessioni o prevenirle, e può immettere denaro nel sistema finanziario dopo shock improvvisi come l’11 settembre o il crack delle Borse del 1987, quando consumatori e aziende tenderebbero invece a congelare le spese o gli investimenti. La Fed può anche chiudere il rubinetto aumentando i tassi di interesse, e in questo caso l’aumento del costo del denaro tende a rallentare consumi e investimenti.

La Federal Reserve è costituita da 12 Reserve Banks sparse in tutti gli Stati Uniti e da un consiglio direttivo di sette governatori, con base a Washington. Il presidente del consiglio di amministrazione è il capo della Fed, o Fed chairman”,  La Fed si occupa di regolamentare le banche commerciali e di sostenere l’infrastruttura bancaria, e in generale fa sì che l’intero “sistema idraulico” finanziario americano funzioni correttamente. La politica monetaria, l’altra responsabilità della Fed, consiste invece nel fornire all’economia la quantità più appropriata di credito - né troppo, né troppo poco – per garantire agli Stati Uniti una crescita stabile. Gli errori possono avere conseguenze catastrofiche. Per esempio, una politica “easy money” da parte della Fed spingerebbe i consumatori a richiedere più beni di quanti ne possono essere prodotti, e l’unico modo per razionare la domanda in eccesso sarebbe un inevitabile aumento dei prezzi. Il risultato è l’inflazione. La Fed ha il compito di trovare il giusto equilibrio, infatti se per contro l’economia crescesse più lentamente delle sua effettive capacità, si sprecherebbe un enorme potenziale economico. La quantità di credito deve essere sufficiente a creare posti di lavoro e prosperità, ma senza surriscaldare l’economia. In altri casi, invece, la Fed entra in gioco quando le regole sono saltate, per esempio programmando deliberatamente una recessione per purgare il sistema da un’inflazione fuori controllo.

Poiché le banche commerciali sono entità private, la Fed non le può costringere ad alzare o abbassare i tassi, il processo è infatti indiretto. I tassi di interesse non sono altro che il “tasso di affitto” del capitale, o il prezzo del denaro. La Fed controlla i flussi dei capitali, e maggiore è la loro disponibilità, più basso è il loro costo in termini di interessi. La Fed manovra i tassi modificando la quantità di fondi disponibili per le banche commerciali: se le banche sono piene di liquidi, i tassi devono essere relativamente bassi per poter dare in prestito la maggior quantità di denaro possibile, viceversa quando il capitale è scarso, si verifica l’ipotesi contraria. Nella legge della domanda e dell’offerta, la Fed controlla l’offerta.

Queste decisioni di politica monetaria, se cioè i tassi di interesse debbano salire, scendere, o restare uguali, vengono prese da un comitato interno alla Fed, il Federal Open Market Committee (FOMC), composto dal consiglio dei governatori, dal presidente della Federal Reserve Bank di New York, e dai presidenti di quattro altre Reserve Banks a rotazione sulle 12 esistenti. Il capo della Fed è ovviamente anche a capo del FOMC. Quando il FOMC vuole stimolare l’economia riducendo il costo dei prestiti, il comitato ha due strumenti elettivi a disposizione per raggiungere questo obiettivo: il primo è il tasso di sconto, cioè il tasso di interesse al quale le banche commerciali prendono in prestito denaro direttamente dalla Fed. Naturalmente, quando i tassi di sconto diminuiscono, le banche commerciali prendono a prestito denaro meno caro dalla Fed, e prestano ai propri clienti a interessi più convenienti. Ma non tutto è così semplice. In linea di massima, le banche prendono denaro in prestito dalle altre banche. Una banca che prende in prestito denaro direttamente dalla Fed è stigmatizzata in quanto dimostra di non essere stata in grado di trovare denaro per altre vie. Chiedere denaro alla Fed è un po’ come chiedere soldi ai nonni quando si è già adulti: probabilmente si riuscirà a farseli dare, ma era meglio provare prima da un’altra parte.

Il secondo strumento a disposizione della Fed è il tasso che le banche praticano alle altre banche per prestiti a breve o brevissimo termine, o federal funds rate. La Fed non può stabilire il tasso al quale Citybank, per fare un esempio, presta denaro a Wells Fargo; l’FOMC stabilisce un tasso e poi agisce sulla disponibilità di denaro per raggiungere gli obiettivi desiderati. Se la quantità di capitali cresce, le banche dovranno diminuire i loro prezzi riducendo i tassi di interesse per trovare clienti che prendono in prestito i loro fondi. Se per esempio l’FOMC taglia il federal funds rate dal 4.5% al 4.25%, la Fed immetterà capitali nel sistema bancario fino a quando il tasso al quale la Citybank presta a breve denaro alla Wells Fargo Bank raggiunge un valore molto vicino al 4.25%.

La Fed e l’FOMC, che creano nuovo denaro stampato dal Tesoro, non lo trasferiscono direttamente alle banche ma lo negoziano contro buoni del tesoro; in altre parole, sempre per stare al nostro esempio, Citybank cede alla Fed, in cambio di liquidi (in forma elettronica), l’equivalente in buoni del tesoro presi dal proprio portafoglio. Lo scambio è alla pari, nessuno si arricchisce. Le banche possiedono buoni del tesoro per la stessa ragione dei privati - i buoni del tesoro sono una forma sicura di investimento - ma per l’economia lo scambio di contanti contro bonds fa un’enorme differenza. Quando una banca possiede denaro “parcheggiato” in buoni del tesoro, significa che quel denaro non viene prestato per finanziare nuove case, nuove fabbriche, o nuovi commerci. Nel momento in cui la Fed trasferisce denaro alle banche, queste si trovano in possesso di denaro liquido che può essere prestato per finanziare nuove attività che generano crescita economica. Il denaro iniettato nel sistema bancario ha perciò un effetto a cascata: una banca che scambia buoni per liquidi con la Fed continua a mantenere le riserve a garanzia richieste dalla legge, ma poi presta tutto il resto. Chi riceve un prestito lo spenderà poi da qualche altra parte, e alla fine il denaro finirà in un’altra banca che a sua volta, fatte salve le riserve, lo presterà a qualcun altro. La decisione della Fed di pompare nuovo denaro nel sistema può quindi, alla fine, arrivare anche a decuplicare la disponibilità di denaro.

Nel prossimo numero: La Fed, l’inflazione, la deflazione.

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